Tiziano, tra arte e affari
Tiziano Vecellio, Ritratto di Isabella d’Este, 1534-1536, Kunsthistorisches Museum , Vienna
Nell’epistolario di Tiziano[1], a cura di Lionello Puppi e pubblicato nel 2012 per conto della Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, vengono raccolte le lettere scritte e ricevute dall’artista ai familiari e ai prestigiosi committenti. Dalla lettura delle missive emerge una differenza stilistica importante: quando si rivolge ai familiari scrive di proprio pugno. Il tono risulta brusco e non si cura di calligrafia e di garbo formale; al contrario, lo scritto diventa fluido e corretto se i destinatari sono imperatori, dogi e cardinali in quanto ben confezionato dagli scrivani a cui Tiziano si rivolge. Infatti se la lettera doveva raggiungere l’imperatore Carlo V, o i principi italiani, ricorreva a scrivani di professione, come Giovan Mario Verdizzotti, a suo servizio nella bottega, e a volte al linguaggio elegante e raffinato dell’amico Pietro Aretino.
I documenti riportano informazioni della sua vita professionale che le sole opere d’arte non sono in grado di svelare, e che rimarcano la natura imprenditoriale dei Vecellio. Comunque in tutti gli scritti predomina l’interesse ossessivo per i soldi.
Ma come per tanti artisti dell’epoca il recupero dei crediti non risultava spesso così scontato. Il complicarsi delle trattative per un dipinto era un problema comune a molti colleghi e potevano non essere sufficienti energie e abilità politiche per la riscossione di un saldo. Ancor più si faceva difficile se le committenze erano importanti come quella di Carlo V o Filippo II, per i quali concedere la posa e l’effige all’artista era considerata già una lauta gratificazione. Mentre il premio in denaro un puro valore simbolico, ideale estraneo a Tiziano, che a capo di una grande bottega doveva stipendiare i propri collaboratori e apprendisti.
Dall’epistolario di Tiziano emerge infatti un rapporto “tormentato” con il denaro, per cui investe energie, sia nel sollecitare un compenso, sia nel tentare di farsi abbassare le tasse imposte dalla Serenissima.
Per Tiziano, una volta acquisita notorietà, fu difficile pensare di realizzare i quadri senza spendersi nella cura dei propri guadagni. Di questo non se ne interessò il suo primogenito Pomponio che, morto Tiziano, fu presto capace di dissipare l’intero patrimonio, disperdendo le eccezionali opere di mano dell’artista custodite nella bottega.
[1] Tiziano. L’epistolario a cura di L. Puppi, Alinari-24Ore, 2012.